Capo Murro di Porco (SR) e il suo soffione
di Paolo Scalora
Allungandosi sul mare Ionio, a sud del Porto Grande di Siracusa, seguendo una direttrice NNW-SSE di 5 km circa, la penisola della Maddalena (o Plemmirio) culmina nel poderoso Capo Murro di Porco che si erge per un’altezza variabile che raggiunge 15-16 m slm, assumendo una posizione piuttosto strategica e costituendo il limite settentrionale dell’ampio golfo di Noto.
Da sempre punto di riferimento imprescindibile per i marinai, il promontorio è segnalato da un Faro risalente al 1859 (Lamberti 1867) (fig. 1). Alto 20 m con fuoco elevato a circa 34 m slm, presenta un’ottica fissa con lampo bianco dal periodo di 5 secondi, una portata di 17 miglia e, in caso di avaria del sistema principale, attiva un impianto di riserva automatizzato con portata di 10 miglia (Bartolomei & Amoruso 2009).
Per la navigazione sotto costa, il Murro di Porco costituisce un pericolo da cui tenersi a debita distanza, soprattutto quando spirano forti venti che ne sferzano le pareti a picco sul mare profondo, che cela la famigerata “Secca del Capo” determinata da un’elevazione rocciosa che da -33 m si alza alla quota massina di -13 m, oggi uno dei principali itinerari subacquei all’interno dell’Area Marina Protetta del Plemmirio (zona A).
La pericolosità del luogo, in condizioni meteorologiche avverse, è stata sperimentata dai naviganti di ogni epoca. Suggestive, per noi oggi che le leggiamo dopo oltre quattrocento anni, sono le parole dell’ingegnere fiorentino Camillo Camilliani (1584):
“le correnti ed inondazioni del mare sono sì grandi, che con grandissima difficoltà i vascelli ci si possono salvare. […] Tirando poi in fuori nell’intorno del promontorio, si trovano le rocche altissime e cavernose, precipitose ed incurvate al mare di maniera, che a chi a quelle si avvicina par che tutto il monte voglia rovinargli addosso; e il mare quivi è tanto oscuro e profondo, che con la scurità sua e lo sporgimento delle rocche, che vi si veggono, apporta grandissimo terrore e spavento a chi le mira.” (Di Marzo 1877).
Una descrizione drammatica di un mare indomabile e potenzialmente fatale per chiunque si trovasse con le proprie imbarcazioni nei pressi del Capo, che tuttavia andava dotato di una torre a difesa della costa dalle incursioni dei pirati, così come già in un progetto di pochi anni addietro, pensata più o meno dove poi sarà costruito il Faro.
Ma non abbiamo solo documentazioni scritte. Nei fondali tra il Murro di Porco e la Costa Bianca il patrimonio archeologico è pregevole, consistente di innumerevoli reperti sporadici e di relitti tanto da comporre un “cimitero di navi”, in passato in parte saccheggiato da sub locali e stranieri. Il colore bianco-grigio della roccia calcarenitica e il blu scuro del mare si esaltano a vicenda in un eterno gioco di contrasti, in cui il promontorio indefessamente oppone resistenza alla forza dei marosi respingendoli e generando spaventevoli tonfi, alimentati da alcune grotte, che si possono udire a distanza.
Le onde per effetto idropneumatico, insinuandosi con forza in fenditure della scogliera causate dall’intensa attività tettonica, proiettano l’acqua verso l’alto per decine di metri, dopo aver attraversato un foro esterno, regalando alla vista uno spettacolo davvero straordinario (fig. 2), il quale ricorda per via dello spruzzo i più famosi geysers (Mirisola 2003), che sono eruzioni intermittenti del vulcanismo secondario che interessano alcune località come, ad esempio, l’Islanda e il Parco Nazionale di Yellowstone (USA).
La lettura di un passo del portolano del Regno di Sicilia redatto da Filippo Geraci (fine XVII sec.), capitano e pilota reale della Squadra di Sicilia, svela un’inaspettata testimonianza: “si notifica ancora che vicino del Murro di Porco dalla parte di tramontana sopra l’altura delle rocche, vi è buco dentro il quale, quando è traversia l’entra il mare con violenza, e salisce tanto in altura dentro di detto buco, che fa dimostranza come fosse una fiumara.” (Pedone 1987).
L’autore, preoccupandosi di “notificare” qualcosa di inconsueto tra le tante informazioni utili alla circumnavigazione dell’Isola, ci restituisce uno storico “fermo immagine” di quello che sembra proprio il caratteristico soffione. Un fenomeno che siamo soliti ammirare nel cuore di un paesaggio brullo, incorniciato da una grande distesa di palme nane (Chamaerops humilis) che svolge un importante ruolo ecologico all’interno del più variegato biotopo costiero, riconosciuto come “Zona Speciale di Conservazione” (ZSC) ai sensi della “Direttiva Habitat” 92/43/CEE.
Note bibliografiche
BARTOLOMEI C. & AMORUSO G. 2009. L’Architettura dei Fari Italiani, vol. 4, Firenze, pp. 101-102 (questi e altri dati tecnici sono consultabili nel sito internet: www.marina.difesa.it). Come ricordano gli autori, la lanterna è del 1945. Il faro è stato oggetto di restauro recentemente.
DI MARZO G. 1877 (a cura di). Descrizione della Sicilia; opera composta da Camillo Camilliano, celebre matematico, in “Biblioteca storica e letteraria di Sicilia”, vol. XXV, pp. 278-279. Si veda anche: Scarlata M. 1993 (a cura di), L’opera di Camillo Camiliani. Per la sua biografia si veda: Neri Arnoldi F. 1974, Camilliani, Camillo in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 17.
PEDONE S. 1987. Il portolano di Sicilia di Filippo Geraci (sec. XVII), Palermo, p. 121.
LAMBERTI L. 1867. Descrizione generale dei Fari e Fanali esistenti sul littorale marittimo del Globo ad uso dei naviganti, VII ed., Livorno, p. 24. MIRISOLA R. 2003. Relazione geologico-ambientale, in “Capo Murro di Porco e la Penisola della Maddalena” (a cura di Baglieri S., Bongiovanni E., Fagotto F. & Mirisola R.), Siracusa, p. 19.